Egregio dottore, mi sono interessato al problema dell\’effettiva capacità di intendere e di volere nel caso di cronaca del suicidio assistito di Davide Trentini, che fu aiutato dall\’ex deputato UE , il radicale Marco Cappato, a recarsi in Svizzera a metterlo in pratica. Trentini era afflitto negli ultimi anni della sua vita da dolori continui e veramente insopportabili, che vennero curati con farmaci oppioidi e morfina , fino ad arrivare al Fentanil in dosi limite. Leggendo la sentenza di assoluzione del Cappato ho visto che nella descrizione del quadro clinico, del malato di ormai secondariamente progressiva sclerosi multipla (non più remittente recidivante) ho notato che un aspetto è rimasto oscuro: all\’inizio della pag. 10, di questa lunghissima sentenza (reperibile sulla rete), composta di 42 facciate scritte fitte, dove si descrive la documentazione medica che attesta tutto il decorso patologico e terapeutico è scritto: “in conseguenza di questa malattia, aveva sviluppato anche una sindrome depressiva reattiva e distrofie cutanee da decubito”. Ecco, di questa sindrome depressiva, reattiva perché causata da eventi esterni di vita e perciò ben diversa da quella endogena detta anche “maggiore”, che sorge spontaneamente senza una causa, non ci sono altre tracce. Non c\’è nulla nella sentenza che spieghi né il decorso né i trattamenti farmacologici. Saltano all\’occhio però, ad una più attenta analisi, due effetti di essa: il pensiero ossessivo centrato, comprensibilmente, sul dolore e sull\’ideazione suicidaria. Ecco il brano a pag. 13, nella parte che descrive l\’esame dibattimentale dell\’imputato Cappato : “ Il Cappato aveva anche cercato di far abbandonare al Trentini i suoi propositi suicidari, tentando di distoglierlo dal pensiero ossessivo del proprio dolore e dalla volontà di suicidarsi, stimolando in lui nuovi interessi, ad es. coinvolgendolo in iniziative politiche volte ad estendere a tutte le Regioni il ricorso alla cannabis terapeutica (utilizzata solo dalle strutture sanitarie di alcune Regioni ma non da tutte) o relative ai progetti di legge sul fine-vita… (omissis)” ; anche a principio della successiva pag. 14 Cappato descrive con queste parole lo stato psicologico del povero Trentini e le sue lamentazioni : “Per lui era semplicemente insopportabile ogni giorno di più, ogni ora di più”, per lui “non c\’era un domani, ripeteva come messaggio martellante… (omissis)… e descriveva le sue sensazioni in termini di impazzimento e di insopportabilità assoluta”. Mi sono domandato come mai non fossero stati prescritti dei farmaci antidepressivi o ipnotici, che si possono far assumere con estrema cautela. E\’ anche possibile che il Trentini non volesse prenderli, perché risulta dalla pratica clinica, che alcuni pazienti, pur in queste gravi condizioni, non vogliono assumerli. Quanto un quadro clinico di questo tipo impatta sull\’effettiva capacità di volere? L\’uomo afflitto da simili dolori non può, a mio avviso, deliberare razionalmente , se suicidarsi, come su quasi nessun\’altra cosa. Mi può gentilmente fornire dei ragguagli su questo aspetto, perché una delle condizioni della legge elvetica e adesso anche delle condizioni fissate dalla Corte costituzionale con l\’ordinanza 207/2018 e la sentenza 242/2019 relative al caso DJ FAbo (Fabiano Antoniani) , sempre suicidatosi tramite Cappato , è la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli.Il dubbio è soprattutto se lo possa un depresso, in quella gravissima condizione vitale. La ringrazio infinitamente. Marcello P. (Torino)
Mi scuso di rispondere solo ora, ma a causa di problemi tecnici del sito, non avevo visto fino ad ora il Suo intervento.
Il tipo di situazione che Lei descrive è e deve essere trattato rispettandone la assoluta unicità e sono quindi da prendere con relatività le affermazioni “scientifiche” in merito che tendono ad affermare delle verità o presunte tali, basate su un numero di osservazioni e sulla estrapolazione di una “valore” che si impone come quello più frequente e a cui dunque viene attribuita la valenza di “fatto”.
Farmaci antidepressivi ed ipnotici. Sicuramente richiedono meno cautele degli antidolorifici centrali, oppiacei, stupefacenti. Purtroppo in una situazione di pervasivo ed intenso dolore, probabilmente poco apportano ad un miglioramento del quadro sia dell’umore che del dolore.
La valutazione sul fatto se una persona che consapevolmente vogli porre fine alla propria esistenza, sia malata o meno, sia capace di intendere o volere o meno è il punto centrale del problema. La risposta, a mio parere, può solo scaturire da un percorso di accompagnamento della persona, volto a verificare in modo empatico e il più possibile scevro da pregiudizi morali, quanto la persona abbia provato e le sia stato proposto tutto ciò che avrebbe potuto orientare la decisione in altro modo che non quello di adire al suicidio assistito. Con buon senso e ragionevolezza e tenendo conto della personalità della persona: ognuno difatti ha dei propri limiti e delle proprie risorse e se una soluzione va bene per uno non è detto che vada bene per un altro. E’ qui che la medicina, la psichiatria, la psicologica si “incagliano” come scienze esatte e si fanno arte nel senso di trovare una sintesi unica e irripetibile per procedere a delle decisioni così difficili.
Spero in qualche modo di aver risposto alla sua domanda e mi scuso ancora per il grave ritardo.