La mindfulness é una forma di meditazione. Questa è una definizione empirica che ha lo svantaggio di essere piuttosto generica ma il vantaggio di far subito intendere l’ambito a cui si riferisce.
Perché si chiama allora mindfulness e non meditazione e che cosa esattamente è?
Il termine mindfulness è nato dall’esigenza di definire una pratica meditativa inserita in un contesto di cultura e pratica medica occidentale.
Alla fine degli anni 70 un medico americano, Jon Kabat Zinn, ha pensato di applicare una pratica di tipo meditativo, da lui portata avanti a titolo di interesse personale, a situazioni di malessere e dolore psicofisico dovute a patologie croniche di vario genere in persone appena dimesse o in fase di dimissione dall’ospedale. J.K.Z. riteneva che una forma di pratica meditativa in questo tipo di soggetti con quel tipo di problemi, potesse risultare di giovamento agli stessi. E di fatto nacque il protocollo della Mindfulness Based Stress Reduction, un percorso di 8 incontri in 8 settimane, ciascun incontro di 2,5 ore.
Il nucleo concettuale della mindfulness, come pure della meditazione, è la coltivazione di una funzione insita in tutti gli esseri umani, che si chiama consapevolezza. La pratica della consapevolezza aiuta da millenni gli esseri umani a collocarsi al meglio nel proprio mondo, sia verso gli altri che verso se stessi ed aiuta soprattutto a liberare il senso dell’esistenza dall’intreccio infinito degli stimoli e delle risposte, perlopiú automatiche (del tipo azione – reazione) , che spesso, piú che soluzioni, ci offre un aumento dei problemi in forma di quello che definiamo come “Stress”.
L’esigenza di espletare i propri ruoli sociali, familiari, relazionali, lavorativi, di costruire il nostro piacere, di evitare le cose spiacevoli, spesso ci conduce ad una vita frenetica, che magari ci fa perdere di vista le “cose importanti”, o addirittura ce le rende anche difficili da identificare. La pratica della consapevolezza ci puó dunque aiutare a vedere le cose da un altro punto di vista, dal punto di vista del nostro pure semplice esistere come corpo, mente e spirito.
Si puó allora comprendere che una pratica che coltiva la consapevolezza , la “chiara visione”, espressione che è la traduzione letterale di “vipassana”, il termine buddhista con cui si definisce la meditazione di consapevolezza, puó risultare utile in varie situazioni e contesti. A partire dalla mindfulness negli stati dolorosi, fino alla mindfulness come pratica volta a sviluppare una visione chiara delle cose, riuscendo a meglio gestire lo stress nei contesti lavorativi, riuscendo a comunicare piú efficacemente il proprio pensiero e le proprie emozioni.
Complimenti, articolo molto interessante soprattutto perchè mette in evidenza le potenzialità della mente umana se correttamente convogliate da una sapiente guida.
Secondo me dovrebbero incentivare tale pratica a livello di aziende per migliorare/aumentare le capacità dei propri dipendenti.