Chi lavora in psichiatria deve poter disporre di assetti mentali diversi con i quali approcciare diverse patologie ma soprattuto diverse personalitá e questo in relazione sia ai pazienti che ai famigliari.
Questo lo si puó osservare bene dalla osservazione delle conseguenze, in primo luogo negative, a cui non assumere questo tipo di attegiamento, puó condurre.
Un fattore di grande importanza, che spesso viene nella pratica sottovalutato, é quello della possibilitá/ capacitá da parte del paziente, di rifiutare le misure terapeutiche proposte.
Quasi sempre si parte dall’idea che il pz psichiatrico, quello appena un po’ piú grave di un quadro “nevrotico” ansioso o depressivo, in fondo debba accettare con assoluta necessitá una qualche forma di trattamento. Ma che conseguenze puó avere questa presunzione sul “gruppo dei curanti”?
Quello di pensare di dover curare ad ogni costo determinate persone, non lasciando loro la possibilità di rifiutare le cure ed assumersene la responsabilitá delle conseguenze; si impedisce cosí di aprire uno spazio mentale per un possibile percorso di assunzione di responsabilitá, di maturazione psicologica, di sviluppo di un piú saldo senso di realtá, quale si potrebbe verificare nel momento in cui il rifiuto di assumere una terapia, usufruire di un trattamento, conducesse al permanere del disagio soggettivo, della disunzione socio-lavorativa e di questo fosse preso atto, da parte del paziente. Sembra quindi oppostuno un assetto mentale, da parte di chi opera nella salute mentale, di presenza ed attesa e disponibilitá ad interloquire restituendo al paziente e/o al familiare un senso di responsabilitá e di empowerment, nell’osservare insieme anche gli errori compiuti, gli atteggiamenti che anziche´apportare beneficio, hanno portato peggioramento della situazione, quale quello, ad esempio, di non accettare un trattamento.